Dalla prevenzione e dal test dell’HIV all’accesso al trattamento e all’assistenza, negli ultimi decenni sono stati compiuti notevoli progressi. Ma c’è ancora molto da fare per contenere la pandemia.
Per il continente africano, queste sono esperienze che portano speranza. La speranza è che entro il 2030 si raggiunga l’obiettivo UNAIDS di “tre su 95”: il 95% delle persone che vivono con l’HIV conosce il proprio stato di sieropositività, il 95% delle persone infette è in trattamento antiretrovirale prolungato (ARV) e il 95% delle persone in trattamento ha una carica virale non rilevabile e quindi non infettiva.
In Kenya, Medici senza frontiere (MSF) gestisce da cinque anni l’ambizioso progetto Ndhiwa nella contea di Homa Bay (est), che coinvolge più di 6.000 persone. Uno studio pubblicato alla fine del 2020 su questo esperimento ha confermato come la mobilitazione di un’intera comunità, dalla prevenzione al test e al sostegno alle cure, possa permettere di spegnere un’epidemia di HIV in una delle zone più contaminate dell’Africa. I tre obiettivi fissati da UNAIDS sono stati superati.
In Eswatini, il Fondo Globale per la lotta all’AIDS, alla tubercolosi e alla malaria ha realizzato un programma simile, basato sulle esigenze del campo, con le popolazioni più vulnerabili: donne e ragazze adolescenti. Con successo: questo piccolo Paese dell’Africa meridionale con una popolazione di poco più di un milione di abitanti è riuscito a diventare, alla fine del 2020, dopo la Svizzera, il secondo Paese a raggiungere le “tre R 95”.